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Giacinto Riccio

Giochi di una volta e medicina popolare a Prata Sannita

(in Annuario ASMV 1986, pp. 273-280)

1987

 

 

 

…(pp. 277-280)

 

 

Passiamo ora a parlare della medicina popolare facendo rilevare che nei tempi antichi, presso i Romani e nel Medio Evo, si riteneva che le infermità fossero da attribuirsi a forze soprannaturali avverse, a potenze maligne, a demoni cattivi, ragion per cui era diffusa la credenza che ogni male che affliggesse l’uomo potesse essere guarito con incanti e magie senza far ricorso alla medicina ufficiale per trarre i rimedi terapeutici e profilattici. Tale concezione, con l’andar del tempo, sotto la spinta del progresso e della civiltà, è andata gradatamente scomparendo, e ciò anche per il venir meno di quell’isolamento, peraltro obbligato, dovuto alla mancanza dei mezzi di comunicazione.

Premesso quanto sopra, si riporta un saggio locale di terapia magica e magico-religiosa.

a)      La “pónta” (dolore puntoreo interessante per lo più la schiena). Si ritiene che possa essere guarita mediante uno scongiuro, ossia “ngandandola”, più precisamente facendo sulla parte dolorante un massaggio di olio di oliva caldo dicendo: Fui pónta t’ scacciu e t’ spòndu (Fuggi dolore puntoreo ti scaccio e ti tolgo). Si ripete lo scongiuro nove volte segnando altrettante volte una croce su quella determinata parte. Forse il 9 è un numero arcano, cabalistico; esso è uno dei quattro tritoni generatori di infinite trinità (M. Sauvier, La leggenda dei simboli,19219.

b)      La cefalea (male r’ capu), il più delle volte attribuito al cosiddetto malocchio, e per vedere se veramente fosse tale si ricorre ad una donna che, versando dell’acqua in un piatto ben pulito, indi delle gocce di olio di oliva, facendosi il segno della croce per tre volte recita questa formula: In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, dui uocchi sóngu stati, ma n’uocchiu t’ gliu fa luvà (In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, due occhi sono stati, ma un occhio solo te lo toglie). E’ malocchio se le gocce spariscono. Oppure la stessa facendosi il segno della croce all’inizio e alla fine, per tre volte recita la detta formula massaggiando con i polpastrelli dei pollici la fronte della persona affetta da cefalea.

c)      La verminazione (vermnàra). Al collo del bambino si appende una collana di spicchi d’aglio.

d)      Mal di denti. Si sorseggia acqua tiepida ed aceto trattenendo il tutto in bocca quanto più possibile. Lo sciacquo va ripetuto più volte. A proposito di odontalgia, si fa rilevare, che al bambino al quale sia caduto un dente da latte, si raccomanda di non buttarlo, ma di metterlo in un buco di un muro dicendo: Sand’Anduónu, Sand’Anduónu, tecc’t gliu viécchiu e rammu gliu nuóvu, rammigliu biancu com’a nnu cuócculu r’uóvu e fort’ comm a nnu travu. (S. Antuonu, S. Antuono, ti do il dente vecchio e dammi quello nuovo dammelo bianco come un guscio d’uovo e forte come una trave). Così si raccomanda di non mettere la lingua tra i denti che stanno per spuntare, altrimenti potrebbero crescere storti.

e)      Foruncolo (craùgnulu). Lo si copre con una foglia di rovo per vari giorni mediante una fasciatura. Ciò faciliterebbe la fuoriuscita del pus. Oppure si cura con impacchi di foglie cotte di malva, o cospargendolo con sugna tiepida.

f)       Lussazione (sbutatùra). Si fascia ben stretto per vari giorni quella determinata parte del corpo (braccio, piede, ecc.) all’occorrenza si usa una benda di cotone intrisa di bianchi d’uovo, ben battuti (la chiara).

g)      Il raffreddore. Si cura con suffumigi (sfummchi), ossia mediante una forma di somministrazione di medicamenti fatti di fumi. Si versa dell’acqua bollente in una bacinella (vacilu) contenente fiori di sambuco, foglie di alloro e di malva; dopo di ciò la persona affetta da tale infermità, tipica della stagione invernale, aspira più volte i vapori che si sprigionano e per far si che gli stessi non si disperdano gli si copre la testa con un grande panno possibilmente di lana. Oppure si somministra al paziente del vino bollente. Anzi a tale proposito, ancora oggi, si suol dire “vinu có gliu carru e bòtte có la varra” (Vino in abbondanza e botte col bastone).

h)      Gli orecchioni (gli strangàgliuni), si curano mediante applicazione di mattoni caldi o con massaggi lievi di olio tiepido, d’oliva.

i)        Epistassi. Si versa dell’acqua fredda sulla nuca, perché ciò arresterebbe la fuoriuscita del sangue dal naso.

j)       Alla puerpera (anni addietro si partoriva in casa) per i primi giorni si danno per cibo tagliolini all’uovo fatti in casa conditi con brodo di gallina. Ciò perché tale piatto contiene molte calorie?

k)      Sulla ferita si mette un po’ di ragnatela a cui è attribuito un potere antibatterico.

l)        Sulla puntura di insetti si poggia una fettina di patata appena tagliata oppure un oggetto di metallo.

m)    Sostituto del borotalco è la polvere di legno abbastanza stagionato causata dal rodere del tarlo.

n)      L’orzaiolo si cura fingendo di cucirlo per nove volte, mentre la persona che ne è affetta ad ogni punto simbolico deve pronunziare questa parola: la fede.

o)      Per il mal di gola si effettuano impacchi di crusca calda.

p)      Al bambino che ha preso uno spavento si fa bere un bicchiere di acqua.

q)      Le coliche renali si curano con decotto di erba muraiola o di cipolla.

 

Una volta le singole pratiche e le applicazioni dei principi magico-terapeutici venivano esercitate da qualsiasi persona, ma spesso si faceva ricorso anche al mago (maónu) o alla maga (maunéssa), persone che il popolo riteneva esperte nell’arte magica, fornite di particolari virtù e depositarie di arcani e reconditi segreti.

D’altra parte l’esercizio di arti magiche ha origini antichissima. Da Virgilio a Lucano, da Ovidio ad Aculeo, la letteratura latina è popolata di queste figure di santoni. Le immagini più precise ed espressive le ha create il poeta Orazio, nell’episodio delle due streghe: Canidia e Sagana, che eseguono un incantesimo con due fantocci, uno di lana e uno di cera, per riaccendere l’amore in un amante infedele.

Tutti i cennati metodi fanno parte di un patrimonio scientifico popolare tramandato di generazione in generazione sin dagli albori della civiltà come vera e propria scienza dei tempi remoti.

 

 

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